Mi sono state segnalate da Luca Raiteri, nostro concittadino consovrano di “Scelgo Io!”, alcune interessanti critiche al metodo delle LdCD che insieme a lui abbiamo presentato a Firenze al festival della Nuova Umanità e nel corso dei lavori preparatori per una possibile lista elettorale alle elezioni comunali di Firenze. Eccole, seguite poi dalle mie considerazioni in merito.
Dice Tossani, stimato e rispettato esponente del dissenso fiorentino :
Per quanto riguarda “Non vorrei che i nostri interventi (di Gian Zanolli e mio [n.d.r. Luca Raiteri]) venissero presi come un indebita intromissione nella costruzione della Lista Civica fiorentina del Dissenso”, a mio parere nessuna intromissione, avete giustamente fatto la proposta nella quale voi credete.Piuttosto, francamente a mio parere il punto critico è che la modalità “Scelgo IO” si caratterizza per uno spiccato individualismo, la messa insieme di tanti pareri diversi senza però una visione politica complessiva che li tenga insieme. Questo a mio parere è un limite non piccolo. Mentre invece solitamente la formazione che si propone di presentarsi a una tornata elettorale esprime un’idea condivisa (qualunque essa sia), che possa intrigare e convincere gli elettori. Anzi io credo che la lista che vuol essere vincente dovrebbe addirittura esprimere il concetto di “Comunità di destino” , vedi qui
https://vanthuanobservatory.com/2023/02/28/la-comunita-di-destino-in-epoca-di-guerra/
Ma c’è poi un’altra cosa, dove dicehttps://www.scelgoio.org/iniziative/lista-delle-candidature-dirette-2/proposta-di-legge-di-iniziativa-popolare/
“Art. 5.In deroga alle normative previste per i partiti, la “Lista Diretta” essendo a gestione istituzionale non richiede un programma politico, né un capo politico e non necessita di firme a sostegno”. Ripeto. dice:”non necessita di firme a sostegno”. Secondo me, una legge con questa clausola i partiti che sono in parlamento non la voteranno MAI, perché va contro i loro interessi oligarchici. E se vogliamo, anche il fatto che la lista dovrebbe essere a gestione istituzionale, mi lascia dubbioso. Non dovrebbe essere lo Stato a occuparsi di come si formano le liste, ci devono pensare i cittadini che si aggregano. E quindi si torna inevitabilmente al discorso dei partiti politici.Come già detto, io son d’accordo che i partiti in parlamento sono oligarchici, ma a mio parere la soluzione “definitiva” del problema sta ne “La Società partecipativa”:
questa: https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2023/05/05/pier-luigi-zampetti-il-manifesto-della-partecipazione/
Comunità di destino https://vanthuanobservatory.com/2023/02/28/la-comunita-di-destino-in-epoca-di-guerra/
Parto dalla seconda obbiezione anzi dalle “seconde”.
a) “Non dovrebbe essere lo Stato a occuparsi di come si formano le liste…”
Ma… già adesso è lo stato che si occupa di come si formano le liste elettorali, stabilisce norme e regolamenti, dice che devono esserci parità di genere, che vanno raccolte le firme, o che non vanno raccolte (spesso questo per le liste dei partiti già presenti in parlamento) stabilisce se si possono dare o no le preferenze, se devono avere o no un capo partito, che ci deve essere un programma ecc. Direi che mi sembrerebbe assolutamente normale se stabilisse l’esistenza di un tipo di liste come quelle delle liste delle candidature dirette che garantirebbero il principio costituzionale del voto libero e diretto (o almeno migliorerebbero l’esistente), disatteso invece dalle ultime due leggi elettorali.
Quanto al fatto che
b)”una legge con questa clausola i partiti che sono in parlamento non la voteranno MAI, perché va contro i loro interessi oligarchici”,
questo lo sappiamo benissimo. Un parlamento come l’attuale, con la presenza quasi esclusiva di servi dei partiti, non la voterà (a meno che per le strade non ci fosse tutto il popolo a spingere con i forconi). Ma questo vale per molte altre proposte di legge che pure si sono presentate e si tenta di presentare in forma popolare, proprio perchè il parlamento, di per sé, è ben lungi dal volerle! Le proposte sono comunque presentate, perchè hanno un valore politico, servono a diffonere idee diverse e fare arrivare queste idee magari anche nei canali main strem, e non ultimo servono a comprendere CHI fra le forze antagoniste e del dissenso è d’accordo con le idee espresse da quelle leggi. Qualsiasi proposta di legge a iniziative popolare poi ha una possibilità di realizzarsi solo se c’è un forte sostegno di quelle forze e di una grande componente popolare, che, appunto, quella proposta ha anche l’intento di suscitare.
Se si dovessero presentare solo le iniziative che hanno probabilità di essere votate da questo tipo di parlamento, allora sarebbe completamente inutile presentare qualsiasi proposta significativa!
Francamente questo tipo di obbiezioni mi sembrano tirate per i capelli, giusto per rinforzare una posizione contraria che sospetto tale, per altre ragioni, cui ora accennerò.
La prima obbiezione è invece più sostanziale, e di fatto figlia di una concezione risultata ampiamente perdente nelle ultime esperienze elettorali, sia come capacità di coagulare le diverse forze del dissenso, (che forse è figlia di ua concezione gramsciana o vetero leninista del ruolo dei gruppi e delle avanguardie che difficilmente troveranno così la quadra), sia per come ormai la massa degli elettori astenuti leggono i programmi e le pur meravigliose parole d’ordine e programmi che si presentano. L’astensione sfiduciata di una gran parte degli elettori è il risultato di un dato di realtà, che seppure in maniera generalmente istintiva ma spesso anche consapevole, gli elettori astenuti percepiscono benissimo, che sembra sfuggire a Tossani.
Dice Tossani:
“la modalità “Scelgo IO” si caratterizza per uno spiccato individualismo, la messa insieme di tanti pareri diversi senza però una visione politica complessiva che li tenga insieme. Questo a mio parere è un limite non piccolo. Mentre invece solitamente la formazione che si propone di presentarsi a una tornata elettorale esprime un’idea condivisa (qualunque essa sia), che possa intrigare e convincere gli elettori.”
La ricerca della visione politica che li tenga insieme, è il problema che hanno proprio i gruppi connotati e che appunto difficilmente troveranno una quadra che li raccolga. Per via delle differenze di priorità e di accenti tra i diversi programmi a volte anche irrigiditi in forma esiziale: secondo quale criterio dovrebbe prevalere una o l’altra visione? Questo o quel punto di programma? Chi meglio potrebbe decidere, se non proprio l’insieme delle diverse sovranità individuali coinvolte nel processo costruttivo?
Il problema è: sono disposti i vari gruppi a sottomettersi alla volontà generale espressa dai singoli cittadini che partecipano della iniziativa elettorale?
Il fatto che ciascuno dei cittadini sostenitori della iniziativa, possa proporre i propri punti di programma non esclude affatto che si possano trovare ampie convergenze, che credo invece proprio più difficile trovare tra le dirigenze dei gruppi, piuttosto che tra le diverse individualità dei cittadini che costruiscono liberamente il programma. Anzi se c’è una speranza di trovare convergenze, viene proprio dalla rinuncia al classico lavoro delle segreterie e dei lider dei gruppi, che poi di solito si sviluppa per la prevalenza non solo dei punti di programma “egemonici” ma anche dei nomi dei candidati che poi dovrebbero sostenere quei punti di programma, con ovvi e tristi problemi di “pecking order” tra lider e sotto-lider.
Ma c’è nelle obbiezioni di Tossani, la mancanza di presa d’atto della reale natura a cui è ridotto l’attuale processo “democratico” elettorale (che piaccia o meno è quello che è), che ha distrutto la prassi passata, la quale era vagamente accettabile, dove il programma era molto importante ed era punto di riferimento per l’azione del partito (o gruppo) e che in qualche modo legava e vincolava anche i membri del partito anche quelli che magari non concordavano pienamente con esso.
Direi dalla scesa in campo di Berlusconi, e dalla dilagante personalizzazione della politca (cui pure i gruppi del cosiddetto dissenso hanno ceduto persino spesso con l’indicazione dei nomi dei ,vari lider nel simbolo elettorale) i programmi contano sempre meno e oggi quasi nulla. C’è la chiarissima percezione che servano solo al fine di raccogliere consenso, che poi verrà invece usato in maniera del tutto differente e dipendente esclusivamente dalle individualità degli eletti, fino a fare esattamente e clamorosamente l’opposto da quanto previsto dai programmi, il giorno dopo le elezioni.
L’area a cui noi ci rivolgiamo (non importa se con retaggi di destra, di sinistra, o di centro) è stata spinta verso l’astensionismo, e lo sarà sempre di più, proprio da questo dato di realtà. I programmi sono sostanzialmente percepiti come “prese per il culo” tout-court. Specchietti per le allodole. Ed è vero, nella pratica e pure nella teoria.
Il re è nudo, e oggi lo vedono in moltissimi (gli astenuti, in primis). La democrazia è ridotta al puro voto dei pre-scelti. E non potendo stabilire chi sono questi pre-scelti, tanto vale non votare.
Se si vuole marcare un diversità, bisogna partire proprio da questa percezione, dalla presa d’atto di questa realtà, e non invece pensare che è il programma che decide tutto.
Del resto, questa situazione non è propriamente una “degenerazione” del sistema. E’ il sistema. La nostra costituzione e la giurisprudenza costituzionae, sono chiarissime e sanciscono l’assolta indipendenza del candidato da ogni vincolo di mandato! Se nel passato qualche forma di vincolo è esistito, è esistito nella forma di vincolo morale, sostenuto dai meccanismi di appartenenza al partito, ideologia, che oggi non estono più. Era poi un vncolo, più verso il partito che verso gli elettori. E quando il partito è diventato “partito-persona” il vincolo si è deleteriamente sviluppato verso le persone, particolarmente, le persone che scelgono chi può candidarsi.
Gli elettori astenuti hanno la perfetta percezione che non serve votare per quel programma o l’altro, perchè tanto gli eletti faranno altro.
Che cosa faranno? Faranno quello che gli viene richiesto da chi decide della loro sorte e soprattutto della loro ricandidatura.
QUESTO è il punto. È questo che va enfatizzato. E a questo che bisogna rispondere. Se abbiamo una speranza di cambiare anche le istituzioni in senso più democratico, dove il popolo abbia reale sovranità e almeno l’ultima parola sulle scelte dei governi, sta, oggi, nella capacità/possibilità di scegliere le persone, gli individui che riteniamo moralmente affidabili, realmente indipendenti dalle lobbi, e che individualmente esprimono valori sinergici ai nostri valori, a prescindere dal programma.
Il programma è importante, ma non decisivo, di gran lunga secondario al processo di scelta dei candidati.
La novità da presentare ai cittadini sfiduciati e delusi e stanchi dei partiti e dei loro programmi parolai, è questa. La sola realisticamente, pragmaticamente, possibile: i candidati di queste liste sono espressione proprio della sommatoria delle scelte individuali dei cittadini (della loro sovranità individuale!) che partecipano al processo costruttivo. In questo sono diversi da ogni altro candidato, che invece deve dare conto ai partiti (o magari ai gruppi e gruppetti?).
In questo, il metodo della lista delle candidature dirette realizza, almeno in parte, il principio della sovranità individuale di ogni cittadino, almeno nella libera scelta, comunque non eludibile, di chi li deve rappresentare, e (repetita iuvant) non sono necessariamente espressione di un partito, ma neanche di un particolare gruppo o gruppetto di potere. Un parlamento di cittadini ( o un consiglio comunale di cittadini), idealmente liberi di agire secondo la propria coscienza e la coerenza individuale ai punti di programma di cui dichiarano di farsi espressione, e che individualmente renderanno conto veramente solo ai cittadini che li hanno scelti.
Stop. Niente di più e niente di meno. Poco? Forse. Ma che cambiamento sarebbe! Il resto è triste dejà-vu.